sabato 25 febbraio 2012

-348 ao Entroido!


Dopo un venerdì e un sabato di festa di carnevale continua  a Verín (2 ore di macchina a sudest di Santiago, al confine colPortogallo) ti svegli alle 14:30 dopo essere andato a dormire alle 8:20 e via verso Laza. In questo paesino a 20 minuti da Verín eravamo già stati venerdì sera e m'era piaciuto molto più di Verín, molto più rustico. E poi, ah, i Peliqueiros. Avanti e indietro, avanti e indietro


 La sera si torna a Verín, ma stavolta c'è una bella foliada per strada con gli amici del gruppo folclorico Cantigas e Agarimos di Santiago de Compostela, tra carriole-cinghiale e macchine-motosega che seminano il panico. C'è pure un banchetto con vino, birra e (soprattutto) licor café e dopo poco l'incaricato annuncia che i soldi delle bibite sono stati recuperati, per cui da quel momento in poi, tutto è gratis. Andiamo a cena a casa di Noa che è anche lei un'amica di Compostela, che però viene da Verín, e si torna a casa presto (prima delle due sono a letto) anche perché le condizioni di un po' tutti sono alquanto pietose.
Prima di tornare a casa, però:

Xacobe: “Ti mañá pola mañá1 que plans tes?”
Alessandro: “Non teño”
Xacobe: “Queres ir connosco á farrapada?”
Alessandro: “Vale”

Mi sveglio e: “farrapada”. Mah. Ho sentito parlare di stracci e di fango. Boh.
Comunque ho la fortunata idea di mettere dei vestiti carnevaleschi, ma comodi, una parruca-punk fucsia di Eduard, degli occhiali senza lenti, e, soprattutto, una vecchia giacca a vento con cappuccio, esco di casa e raggiungo gli altri. 
Dopo aver dato i miei 5€ per il pranzo, vado in macchina con Fumaces verso Tamicelas, una frazione di Castro de Laza, paesello di 288 abitanti. Fumaces (che in realltà si chiama Fernando e è di Fumaces, un paesello nei dintorni), mi spiega che la farrapada si fa anche a Laza, ma che a Tamicelas è molto più rustica e enxebre2.
Arrivati lì mi consiglia di mettermi qualcosa di leggero perché mi bagnerò. Lui si lega una busta di plastica in testa e ci avviamo. Arriviamo al campo di battaglia e tutto sta cominciando: da un trattore con benna vengono buttati a terra molti vestiti completamente inzuppati d'acqua che tutti cominciano a tirarsi l'un l'altro al ritmo indiavolato di un'orchestra. Non essendo ben preparato mi sono defilato e ho fatto foto e video. Verso la fine, però, ho lasciato la macchinetta e qualche farrapada l'ho data e presa anch'io. Come ha detto qualcuno, “Galiza profunda”.

Si torna poi a Laza, pranzo stile Pasquetta, camminata per le vie del paese guidati da Noa e si arriva a Cimadevila, la parte alta della città. Anche qui tutto è in fervore: ci si prepara alle formiche. Si torna al prato del pranzo e dopo poco passa il carro della macchina della farina, trainato da vacche umane. 
                                                                                  

Lo si segue e si arriva vicino alla piazza della Picota. Ci si prepara come si può, la macchina della farina viene caricata, si va verso la praza da Picota.
È tramontato il sole, il rumore dei peliqueiros semprecorrenti non si sente più e comincia l'Inferno. Quintali di farina vengono spruzzati per aria o buttati direttamente su di noi, così come vengono buttati sacchi interi di terra mista a formiche, mentre altri cittadini di Laza se ne vanno in giro spazzolando la testa e la schiena della gente con enormi rami di toxo.
È terrore, urla, risa e altra farina, altra terra, altre grida. Io ero un bel po' più su, però questo video girato da Eduard rende bene l'idea di quello che è, per lo meno verso la fine.
Avevano ragione quando dicevano che l'entroido (specialmente quello di Laza) non si può spiegare a parole, ma bisogna viverlo!

Dopo le formiche si balla di nuovo con l'orchestra di Laza, si cena con un panino si canta e suona (si fa foliada) con alcuni di Cantigas e Agarimos in uno dei bar e, ogni tanto ti ritrovi ancora qualche formica a camminare tra i peli delle gambe. 
Verso l'una-l'una e mezza si cambia e si va verso Castro de Laza. Lì un gruppetto di persone è raccolto intorno a un grande fuoco mentre dei musicisti suonano e qualcuno si azzarda a ballare nel freddo della notte.
Dopo qualche ora ci si sposta nell'unico bar (che sarebbe una specie di pagliaio) e la musica e i balli continuano anche lì. Fino a verso le 3:45, quando dentro la stanzetta vengono rotti un paio di sacconi di farina e è, anche lì, l'Inferno. Iniziano a rotolarsi Xacobe e Eduard e poi, un po' alla volta sono in molti a rotolarsi o a essere rotolati nella farina. 
Ultimo tra gli infarinati, il vostro umile relatore... :D


E poi si ricomincia a suonare, cantare e ballare.


Dopo aver dormito a Verín (dormiamo da venerdì a lunedì nella casa di Xose, amico di Eduard) si torna a Laza a vedere i peliqueiros per le ultime volte. Dopo una lunga ricerca si mangia, si suona e si canta nel bar della foliada della sera precedente, si aspetta (a notte fatta) la lettura del testamento dell'asino dove vengono raccontati in rima tutti gli eventi successi a Laza e dintorni nell'anno passato e si ripartono (simbolicamente) le parti di un asino tra i vari cittadini. Viene bruciato o Arangaño (che simboleggia l'entroido) nella praza da Picota.
L'entroido è finito e si torna a casa.

Considerazioni: 
  1. La mia coscienza animalista mi ha portato a interrogarmi sul benestare delle formiche. I laziani se ne prendono cura durante tutto l'anno, specialmente i lunghi mesi invernali. Il martedì (giorno successivo a quello delle formiche) potevano vedersi legioni di formiche intente a raccogliere la terra per andarsene a costruire un nuovo nido chissà dove.
  2. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre. 
  3. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre. 
  4. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre.

1Domani mattina
2Tipica(mente galega)

domenica 5 febbraio 2012

Hedonismo

“Ti es un hedonista, Romano. Toda a noite de festa bailando con rapazas guapas, ir en bici á horta, comer ao sol nunha terraza, ler poesías no parque, risotto con cabaza. Como vos coidades, Eduard, eh?!” Isto dixo o Xose, profesor de filosofía e gran amigo do meu compañeiro de piso Eduard, que “estreou a casa” con el fai 5 anos. Díxoo antes de volver con Antón á reunión do BNG ao meu volver á casa e ao contarlles da miña mañá.

A noite anterior fomos con Eduard, Xose e Antón ao Bodegón A Corredoira e despois á Gentalha do Pichel para a foliada dos de Abaixo. Os outros tres marcharon despois de pouco (o día seguinte Xose e Antón tiñan reunión do BNG), eu quedei ata pechar o Pichel.
O día seguinte (domingo) pola mañá fora en bici con Flavia (unha amiga da horta de San Pedro) á horta de Conxo para encontrarnos con Ramón (que coñecía só a través dun intercambio de mensaxes) e intercambiar experiencias de hortas comunitarias.

 Á esquerda, Flavia acolchando no medio do allo na Horta de San Pedro

Ao volvermos á cidade Flavia convidoume a xantar con ela. Flavia vive na Praza de Santo Agostiño, había sol e xantamos na terraza que da na Rúa das Ameas, xusto detrás do mercado de Abastos.

Rúa das Ameas dende a Praza de Santo Agostiño. Á esquerda o Mercado de Abastos

Ela estaba moi cansa como estivo de festa toda a noite anterior e eu marchei xusto despois de lavar os pratos. Volvendo para a casa pasei polas hortas de Belvís e decidín quedar un cacho a ler Longa Noite de Pedra nunha das bancas do parque. Quedei durmido, que eu tamén estaba moi canso!

O banco onde vou ler no Parque de Belvís. Máis abaixo, as hortas.

Entón volvín para a casa, Eduard facía a crema do café

     Eduard: “Non mires” Non mires!”
    Alessandro: “Demasiado café”
    Eduard: “Xa sei. Xa sei. Díxenche que non mirases”
    Antón: “Que tal a mañá?”
    Alessandro: contei o que acabo de escribir
    Xose: “Ti es un hedonista, Romano. Toda a noite de festa bailando con rapazas guapas,
                ir en bici á horta, comer ao sol na terraza, ler poesías no parque, risotto con cabaza. 
                Como vos coidades, Eduard, eh?!”
    Alessandro: “As cosas bonitas. Para que máis hai que vivir?”

Moitos anos esperei para poder usar esta citación de Oscar Wilde nun Marido ideal

     Lord Caversham: You seem to me to be living entirely for pleasure
    Lord Goring: What else is there to live for, father?

Isto é algo en que penso sempre moito: para que vivimos se non para facer as cousas das que gostamos? Que máis necesitamos? H.D. Thoreau pono moi claro en Walden ou A vida nos bosques; cando fala das necesitades do ser humano reduce todo ao calor e á enerxía que precisamos para crealo e mantelo.

    “Heat is life,” says Thoreau. Our food is actually just fuel to heat our bodies; our clothing 
    and shelter help us to retain the body heat.

Cando hai un teito, vestidos e comida non precisas nada máis e podes usar o teu tempo para facer as cousas que che gustan. Mais o noso mundo (que todos sabemos estar en crise) dinos que precisamos moito, moito máis e que temos que traballar para obter esas cousas. Hai moita literatura e vídeos que falan disto, mais The Story of Stuff  (con subtítulos en galego internacional, italiano, castelán) é probablemente o máis claro. No documental Annie Leonard cháma este proceso “manufacturing demand”. “Fabricar demanda”. Necesitades que de feito non temos.

    “Heat is life”.

Se posuímos unha casa, nos producimos  a comida e as cosas que precisamos (facelo é moito máis doado do que cremos) teremos todo o tempo que queremos para facer as cousas que nos gustan. Para ser hedonistas!

Agora vou preparar a pasta de dentes: prepareina (en 10 minutos) en outubro e rematou onte...