sabato 25 febbraio 2012

-348 ao Entroido!


Dopo un venerdì e un sabato di festa di carnevale continua  a Verín (2 ore di macchina a sudest di Santiago, al confine colPortogallo) ti svegli alle 14:30 dopo essere andato a dormire alle 8:20 e via verso Laza. In questo paesino a 20 minuti da Verín eravamo già stati venerdì sera e m'era piaciuto molto più di Verín, molto più rustico. E poi, ah, i Peliqueiros. Avanti e indietro, avanti e indietro


 La sera si torna a Verín, ma stavolta c'è una bella foliada per strada con gli amici del gruppo folclorico Cantigas e Agarimos di Santiago de Compostela, tra carriole-cinghiale e macchine-motosega che seminano il panico. C'è pure un banchetto con vino, birra e (soprattutto) licor café e dopo poco l'incaricato annuncia che i soldi delle bibite sono stati recuperati, per cui da quel momento in poi, tutto è gratis. Andiamo a cena a casa di Noa che è anche lei un'amica di Compostela, che però viene da Verín, e si torna a casa presto (prima delle due sono a letto) anche perché le condizioni di un po' tutti sono alquanto pietose.
Prima di tornare a casa, però:

Xacobe: “Ti mañá pola mañá1 que plans tes?”
Alessandro: “Non teño”
Xacobe: “Queres ir connosco á farrapada?”
Alessandro: “Vale”

Mi sveglio e: “farrapada”. Mah. Ho sentito parlare di stracci e di fango. Boh.
Comunque ho la fortunata idea di mettere dei vestiti carnevaleschi, ma comodi, una parruca-punk fucsia di Eduard, degli occhiali senza lenti, e, soprattutto, una vecchia giacca a vento con cappuccio, esco di casa e raggiungo gli altri. 
Dopo aver dato i miei 5€ per il pranzo, vado in macchina con Fumaces verso Tamicelas, una frazione di Castro de Laza, paesello di 288 abitanti. Fumaces (che in realltà si chiama Fernando e è di Fumaces, un paesello nei dintorni), mi spiega che la farrapada si fa anche a Laza, ma che a Tamicelas è molto più rustica e enxebre2.
Arrivati lì mi consiglia di mettermi qualcosa di leggero perché mi bagnerò. Lui si lega una busta di plastica in testa e ci avviamo. Arriviamo al campo di battaglia e tutto sta cominciando: da un trattore con benna vengono buttati a terra molti vestiti completamente inzuppati d'acqua che tutti cominciano a tirarsi l'un l'altro al ritmo indiavolato di un'orchestra. Non essendo ben preparato mi sono defilato e ho fatto foto e video. Verso la fine, però, ho lasciato la macchinetta e qualche farrapada l'ho data e presa anch'io. Come ha detto qualcuno, “Galiza profunda”.

Si torna poi a Laza, pranzo stile Pasquetta, camminata per le vie del paese guidati da Noa e si arriva a Cimadevila, la parte alta della città. Anche qui tutto è in fervore: ci si prepara alle formiche. Si torna al prato del pranzo e dopo poco passa il carro della macchina della farina, trainato da vacche umane. 
                                                                                  

Lo si segue e si arriva vicino alla piazza della Picota. Ci si prepara come si può, la macchina della farina viene caricata, si va verso la praza da Picota.
È tramontato il sole, il rumore dei peliqueiros semprecorrenti non si sente più e comincia l'Inferno. Quintali di farina vengono spruzzati per aria o buttati direttamente su di noi, così come vengono buttati sacchi interi di terra mista a formiche, mentre altri cittadini di Laza se ne vanno in giro spazzolando la testa e la schiena della gente con enormi rami di toxo.
È terrore, urla, risa e altra farina, altra terra, altre grida. Io ero un bel po' più su, però questo video girato da Eduard rende bene l'idea di quello che è, per lo meno verso la fine.
Avevano ragione quando dicevano che l'entroido (specialmente quello di Laza) non si può spiegare a parole, ma bisogna viverlo!

Dopo le formiche si balla di nuovo con l'orchestra di Laza, si cena con un panino si canta e suona (si fa foliada) con alcuni di Cantigas e Agarimos in uno dei bar e, ogni tanto ti ritrovi ancora qualche formica a camminare tra i peli delle gambe. 
Verso l'una-l'una e mezza si cambia e si va verso Castro de Laza. Lì un gruppetto di persone è raccolto intorno a un grande fuoco mentre dei musicisti suonano e qualcuno si azzarda a ballare nel freddo della notte.
Dopo qualche ora ci si sposta nell'unico bar (che sarebbe una specie di pagliaio) e la musica e i balli continuano anche lì. Fino a verso le 3:45, quando dentro la stanzetta vengono rotti un paio di sacconi di farina e è, anche lì, l'Inferno. Iniziano a rotolarsi Xacobe e Eduard e poi, un po' alla volta sono in molti a rotolarsi o a essere rotolati nella farina. 
Ultimo tra gli infarinati, il vostro umile relatore... :D


E poi si ricomincia a suonare, cantare e ballare.


Dopo aver dormito a Verín (dormiamo da venerdì a lunedì nella casa di Xose, amico di Eduard) si torna a Laza a vedere i peliqueiros per le ultime volte. Dopo una lunga ricerca si mangia, si suona e si canta nel bar della foliada della sera precedente, si aspetta (a notte fatta) la lettura del testamento dell'asino dove vengono raccontati in rima tutti gli eventi successi a Laza e dintorni nell'anno passato e si ripartono (simbolicamente) le parti di un asino tra i vari cittadini. Viene bruciato o Arangaño (che simboleggia l'entroido) nella praza da Picota.
L'entroido è finito e si torna a casa.

Considerazioni: 
  1. La mia coscienza animalista mi ha portato a interrogarmi sul benestare delle formiche. I laziani se ne prendono cura durante tutto l'anno, specialmente i lunghi mesi invernali. Il martedì (giorno successivo a quello delle formiche) potevano vedersi legioni di formiche intente a raccogliere la terra per andarsene a costruire un nuovo nido chissà dove.
  2. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre. 
  3. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre. 
  4. i galeghi SANNO come divertirsi, purtroppo gli italiani non sempre.

1Domani mattina
2Tipica(mente galega)

domenica 5 febbraio 2012

Hedonismo

“Ti es un hedonista, Romano. Toda a noite de festa bailando con rapazas guapas, ir en bici á horta, comer ao sol nunha terraza, ler poesías no parque, risotto con cabaza. Como vos coidades, Eduard, eh?!” Isto dixo o Xose, profesor de filosofía e gran amigo do meu compañeiro de piso Eduard, que “estreou a casa” con el fai 5 anos. Díxoo antes de volver con Antón á reunión do BNG ao meu volver á casa e ao contarlles da miña mañá.

A noite anterior fomos con Eduard, Xose e Antón ao Bodegón A Corredoira e despois á Gentalha do Pichel para a foliada dos de Abaixo. Os outros tres marcharon despois de pouco (o día seguinte Xose e Antón tiñan reunión do BNG), eu quedei ata pechar o Pichel.
O día seguinte (domingo) pola mañá fora en bici con Flavia (unha amiga da horta de San Pedro) á horta de Conxo para encontrarnos con Ramón (que coñecía só a través dun intercambio de mensaxes) e intercambiar experiencias de hortas comunitarias.

 Á esquerda, Flavia acolchando no medio do allo na Horta de San Pedro

Ao volvermos á cidade Flavia convidoume a xantar con ela. Flavia vive na Praza de Santo Agostiño, había sol e xantamos na terraza que da na Rúa das Ameas, xusto detrás do mercado de Abastos.

Rúa das Ameas dende a Praza de Santo Agostiño. Á esquerda o Mercado de Abastos

Ela estaba moi cansa como estivo de festa toda a noite anterior e eu marchei xusto despois de lavar os pratos. Volvendo para a casa pasei polas hortas de Belvís e decidín quedar un cacho a ler Longa Noite de Pedra nunha das bancas do parque. Quedei durmido, que eu tamén estaba moi canso!

O banco onde vou ler no Parque de Belvís. Máis abaixo, as hortas.

Entón volvín para a casa, Eduard facía a crema do café

     Eduard: “Non mires” Non mires!”
    Alessandro: “Demasiado café”
    Eduard: “Xa sei. Xa sei. Díxenche que non mirases”
    Antón: “Que tal a mañá?”
    Alessandro: contei o que acabo de escribir
    Xose: “Ti es un hedonista, Romano. Toda a noite de festa bailando con rapazas guapas,
                ir en bici á horta, comer ao sol na terraza, ler poesías no parque, risotto con cabaza. 
                Como vos coidades, Eduard, eh?!”
    Alessandro: “As cosas bonitas. Para que máis hai que vivir?”

Moitos anos esperei para poder usar esta citación de Oscar Wilde nun Marido ideal

     Lord Caversham: You seem to me to be living entirely for pleasure
    Lord Goring: What else is there to live for, father?

Isto é algo en que penso sempre moito: para que vivimos se non para facer as cousas das que gostamos? Que máis necesitamos? H.D. Thoreau pono moi claro en Walden ou A vida nos bosques; cando fala das necesitades do ser humano reduce todo ao calor e á enerxía que precisamos para crealo e mantelo.

    “Heat is life,” says Thoreau. Our food is actually just fuel to heat our bodies; our clothing 
    and shelter help us to retain the body heat.

Cando hai un teito, vestidos e comida non precisas nada máis e podes usar o teu tempo para facer as cousas que che gustan. Mais o noso mundo (que todos sabemos estar en crise) dinos que precisamos moito, moito máis e que temos que traballar para obter esas cousas. Hai moita literatura e vídeos que falan disto, mais The Story of Stuff  (con subtítulos en galego internacional, italiano, castelán) é probablemente o máis claro. No documental Annie Leonard cháma este proceso “manufacturing demand”. “Fabricar demanda”. Necesitades que de feito non temos.

    “Heat is life”.

Se posuímos unha casa, nos producimos  a comida e as cosas que precisamos (facelo é moito máis doado do que cremos) teremos todo o tempo que queremos para facer as cousas que nos gustan. Para ser hedonistas!

Agora vou preparar a pasta de dentes: prepareina (en 10 minutos) en outubro e rematou onte...

domenica 22 gennaio 2012

Una sconclusionata accozzaglia di frasi semisconnesse in una Bella notte di non foliada

Nonostante il disperato appello del post precedente (di ormai più di quattro mesi fa. Cito "Commentate numerosi ditemi che pensate e iscrivetevi al blog"), di seguitori non se ne sono visti e questa è stata una delle cause che mi hanno portato all'abbandono ultra-prolungato di questo scatolone di pensieri.
La chiacchierata con l'amico Marco durante la nostra visita alla non-altrettantanto-sconvolgente-quanto-Compostela Madrid, mi ha fatto ripensare all'idea. La pigrizia è, però, come sempre tanta. Troppa. Per cui ho continuato a rimandare.
Oggi, erano le 20:30 e di ritorno da un foliada (festa con musica, ballo e canto tradizionale) si chiacchierava di blog con Eduard (il mio coinquilino catalano). La foliada andava avanti e durerà attraverso vari bar, fino a domani mattina, per cui per ora riposiamo. La foliada è "in onore" della morte di Manuel Fraga Iribarne, già ministro durante la dittatura di Franco e presidente della Giunta della Galizia tra il 1990 e il 2005 di cui tutti sembrano aver scordato le malefatte.
Comunque, dicevo che Eduard è attivissimo in tema di comunicazione e sta pubblicando 4 post sul processo di traduzione di Pa Negre dal catalano al galego Pan Negro. Lui diceva di non riuscire a pensare ad altro che ai prossimi tre post del suo blog e il mio pensiero è quindi tornato a questo blog. Parlavo con lui del fatto che un altro dei motivi che mi ha portato ad abbandonarlo finora è che scegliendo di scrivere in italiano, necessariamente taglio fuori le tante persone che parlano galego e che sono ora parte della mia vita. O anche quei pochi con cui comunico in inglese o in spagnolo.
Però la vita è fatta di scelte, per cui per questo post continuiamo così e poi si vedrà se ci saranno cambi di lingua in futuro oppure no.

La vita che faccio mi piace. Almeno in teoria. Sì perché riesco a fare tanti piccoli lavori e a vivere di poco, ma alla grande, per cui di tempo a disposizione ne ho in (sovr)abbondanza. Però non lo sfrutto per fare quello che mi piace e nella maggior parte dei casi lo perdo.
Comunque, come già scritto nel post precedente, ho iniziato a collaborare con l'Assemblea di San Pedro, di cui curo il blog e la pagina di facebook. Con queste persone condivido quelle che sono ora le mie idee più radicate: la necessità di un approccio alla vita più vicino alla natura; l'idea di vivere con meno e in maniera più felice. In più, attraverso questo gruppo ho stretto un'ottima amicizia con Gino (pugliese di Mola di Bari) e Gabriela (galega di Vigo) e attraverso Gino ho conosciuto l'orto comunitario dove vado a lavorare quando il tempo lo permette. Gino però non ci lavora.
Lì all'orto di San Pedro ho conosciuto un altro gruppo di persone e proprio ieri sono andato per la prima volta al loro "quartier generale" di cui tanto avevo sentito parlare (anche da Gino): A Casa do Vento, centro sociale occupato a 20 minuti a piedi da casa mia attraversando la città, ma praticamente in aperta campagna!
È stata una bellissima esperienza visto che c'era un match di improvvisazione teatrale con tre gruppi di tre persone che improvvisavano varie situazioni e usando differenti tecniche e registri.
Anche se conoscevo diverse persone dall'orto di San Pedro (Irati, Flavia, Paulo, Sonia, Paula, Roque - questi ultimi quattro partecipavano attivamente nel match) mi sono sentito abbastanza pesce fuor d'acqua visto che lì erano tutti hippy certificati 100% e io non proprio. In più ho abbastanza difficoltà a relazionarmi con le persone, specialmente quando non è in italiano. Però vabbè, voglio tornarci perché l'ambiente mi piace.

Che poi non è che i vari gruppi che frequento siano a tenuta stagna. I "folkies" (suonatori/ballerini/cantanti/amanti di musica tradizionale che conoscevo già da quando sono venuto la prima volta, ma che si sono ampliati di molto) e gli "amici di Eduard" coincidono in molti elementi. Sandra (la mia ex prof di galego) e Lucia sono folkies, ma partecipano anche all'assemblea di San Pedro, Begoña partecipa all'Assemblea e anche all'orto, Gino partecipa all'Assemblea e alla Casa do Vento, dove insegna a riparare biciclette. Compostela è "unha puta aldea" (na cazzo di frazione) in cui tutti in qualche modo si conoscono almeno di vista e a volte è quasi difficile andare da qualche parte senza incontrare qualcuno di conosciuto. E questo mi piace molto. La sensazione di essere sempre "al sicuro", pur avendo la possibilità di fare tante cose diverse.

Adesso è quasi mezzanotte. Provo a mandare un messaggio in chat a Eduard per vedere se vuole uscire.
Il risultato dello scambio di messaggi è stato che tutti e due sentiamo più l'obbligo a uscire che la voglia, per cui per il momento restiamo qua e poi, citando Eduard, "se máis tarde cambia a cousa, pois xa se verá, que aínda queda [ancora resta] moita noite... :D"

Comunque, un altra cosa che mi sta succedendo in questo periodo è che sono nel mezzo di una tre giorni dedicata alla Permacultura da me organizzata insieme alla Gentalha do Pichel (uno dei posti dove lavoro dando lezioni di italiano) e all'Assemblea di San Pedro. Per prima cosa c'è stata la conferenza di due giorni fa (visto che adesso sono le 0:01). Martedì prossimo (24 gennaio) proiettiamo "Una fattoria per il futuro". Non con sottotitoli in italiano, chiaro, ma purtroppo in spagnolo che non esistono né in galego, né in galego internazionale. Così chiama il portoghese Xose, della commissione di (in)formazione dell'Assemblea di San Pedro con cui co-organizziamo questi eventi. Se qualcuno di voi ancora non lo ha visto, lo faccia perché vale la pena. Soprattutto a partire dalla parte 3 di 6. E poi ci sarà una visità di esplorazione/progettazione/applicazione all'orto di San Pedro.
Purtroppo, infatti, sebbene sia bellissimo lavorare lì, le cose sono fatte molto a caso, senza quella fase di osservazione e progettazione che sta alla base della Permacultura. Ma la terra lì è tanta e la voglia di veder crescere le cose è per tutti gli altri (che comunque erano lì prima di me) più forte della pazienza.

Ho finito adesso "Io lo so fare" (grazie ancora del regalo Sara Sariña!) e ho ascoltato per quattro volte consecutive Bella notte di Ludovico Einaudi. Mai successo prima di ascoltare una canzone per più di due volte. Bella notte è stata condivisa su Fb insieme alla frase di Borges "La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi" da Green Mind, uno delle tante pagine che seguo e adesso mi avvio alla conclusione di questa sconclusionata accozzaglia di frasi semisconnesse.
È giusto l'una, "Bella notte" sta finendo per la quinta volta e mi sa che la rimetto (già fatto), ho un po' di fame che stasera ho "mangiato" solo tè con biscotti e marmelo e marmellata di kiwi, ma così da spizzicare non c'è molto. Forse mi mangio un paio di kiwi, o una mela. Però mi sa che così di sera non è proprio il massimo. Magari qualche bruschetta.

Ho riletto il tutto. Come si evince non sono proprio organizzato. Ho rimesso Bella notte per la settima volta (riuscirò mai a fermarmi?) e adesso smetto davvero. Con due propositi per i prossimi giorni.
1. Praticare con la chitarra prestatami da Gon (uno dei folkies)
2. Andare dal falegname qua vicino a vedere se gli posso dare una mano che mi piacerebbe un sacco imparare un po'.

Ma soprattutto, a voi che cazzo vi frega?

Bicos e apertas!

domenica 11 settembre 2011

Un altro mese dopo

La giornata è umida, nuvolosa e carica di pioggia, tipica per Compostela e io sto sdraiato sul letto, completamente vestito sotto una coperta pesante.
Dopo tanti giorni a dormire su un divano e cercare una casa, vedere tante case brutte per vari motivi, il 7 settembre ne ho trovata una perfetta. Ieri, dopo mezza giornata di lotte contro il temibile sito di Ryanair ho comprato i biglietti di andata e ritorno per l'Italia e già ieri sera il mio corpo è crollato.
Visto che sono bloccato in casa, riprendo in mano il blog, iniziato tardi e abbandonato già subito dopo il primo post.
Se in quest'ultimo parlavo di una recolleita, non spiegavo il perché io sia ancora qua.
Un paio di giorni prima di tornare in Italia (avevo il biglietto per l'1 agosto) è uscita la possibilità di andare in Bretagna (la regione più a nord-ovest della Francia) con un gruppo di musica e ballo tradizionale galego. Per cui sono rimasto, sono andato con loro in autobus fino a Guingamp (dove loro hanno partecipato a un festival) e già la prima sera ho trovato un passaggio e sono andato a Douarnenez a trovare Elsa, una mia amica bretone conosciuta nel corso di galego l'anno scorso.
Mentre esploravo le bellezze della Bretagna è maturata l'idea di restare a Santiago de Compostela a vivere. Sebbene trovare lavoro qui sia altrettanto difficile che in Italia, l'ambiente è decisamente più eccitante. Compostela è una città piccola (meno di 100.000 abitanti), ma è da sempre una città di passaggio (o di arrivo) del Camino de Santiago, è sempre pieno di gente da ogni dove e le persone di qui sono abituate a ricevere i visitatori.
Inoltre, a Douarnenez c'era un festival di cinema. Il primo giorno del festival, dopo essere uscito dalla città ed aver fatto una piccola escursione a Quinper, sono andato a vedere l'area centrale del festival, avevo le cuffie alle orecchie e ho visto un'amica di Elsa conosciuta per 3 secondi due giorni prima. Sapevo che parla galego e mi sembrava di capire che parlasse galego con un tizio. Al che mi sono tolto le cuffie e "falades galego?" la risposta è stata sì e così ho conosciuto Paulo, galego di Pontevedra, che mi ha aperto le porte a un'altro mondo qui a Compostela.
Mi ha infatti detto che lui è stato uno degli inventori del mercado entre lusco e fusco, un mercato di prodotti biologici che fanno tutte le settimane al tramonto (entre lusco e fusco) e che si trova a tre minuti a piedi da casa mia. Inoltre mi ha detto che i suoi amici (gli altri ideatori del mercato) fanno anche parte del gruppo San Pedro in transizione. San Pedro è il quartiere dove vivo ora e la transizione è un po' la branca politico-sociale della Permacultura.
Appena tornato li ho contattati e ho già partecipato al primo incontro, che è stato incentrato sulla preparazione dell'assemblea del quartiere di San Pedro, visto che era la prima dopo l'estate. Ma le cose cominciano da qua. Tutto torna.
Presto un nuovo post. Commentate numerosi ditemi che pensate e iscrivetevi al blog!

martedì 9 agosto 2011

Un primo post molto, molto in ritardo

La decisione di aprire un blog per condividere la mia vita in Galizia è arrivata molto in ritardo, dopo più di un mese di vita vissuta a Compostela. Però il corso già me lo aspettavo ed è stato (come l'anno scorso) davvero molto intenso, lasciandomi praticamente 0 tempo libero. Ho preferito viverlo e magari ne parlerò qua e là.
Però, un paio di giorni prima di tornare a casa le cose sono cambiate improvvisamente per cui ancora sto qua.
La vita è rallentata moltissimo, così come è diminuito drasticamente il numero di persone con cui interagisco. O per lo meno è diminuito il numero di conoscenti, visto che alla fine esco con le stesse persone di prima, che sono quasi tutte di qua. Dei 3 amici che ho conosciuto nel corso, due sono ancora qua...
Comunque, ho deciso di aprire questo blog soprattutto per quello che è successo negli ultimi due giorni. Altre belle cose sono successe da quando sono venuto qua e ne parlerò in futuro, ma questa meritava una condivisione il più rapida possibile!

I miei amici di qua sono Xacobe, Diego e André (sul cui divano dormo da dieci giorni). Tutti e tre suonano la gaita (una specie di zampogna, lo strumento più tradizionale della Galizia) anche se io ho visto suonarla solo Xacobe, il più musicista dei tre. Xacobe vive con Raquel, André con Iria. Diego, Iria, Raquel e altre ragazze che conosco fanno parte di un gruppo di ballo tradizionale.
La tradizione è qui una cosa di primaria importanza e ragazzi della mia età (molto spesso più giovani) si impegnano per preservarla. Allo stesso tempo si divertono, chiaro.
La scorsa settimana Xacobe e André (e io con loro) sono stati invitati a partecipare a una recolleita a Murias, dalla parte galega della triplice frontiera tra Galizia, Asturia e Leon. Per recolleita si intende incontrare uno o più anziani di cui si ha un contatto e farsi insegnare canzoni e/o balli tradizionali. In questo caso, visto che eravamo con un gruppo di ballo (lo stesso con cui domenica andrò in Bretagna) la recolleita era centrata sul ballo. Inoltre era un po' atipica, visto che siamo andati a una festa di paese, portandoci dietro un gaiteiro (Xacobe) più altri strumenti tradizionali con la speranza di poter suonare un po' e di far ballare la gente anziana del paese. Murias è famosa per essere uno dei paesi con le feste migliori della Galizia e con degli ottimi ballerini, forse proprio a causa di questa sua condizione di frontiera.
Il viaggio era organizzato da Marcos (il maestro di ballo, secondo me poco più giovane di me) e vi prendevano parte Iria, Uxía, Berta, Noa, Marcos, quattro suoi amici (tre dei quali se ne sono andati la sera di domenica) più André, Xacobe e io. Diego ha rinunciato a causa di mancanza fondi e quella di Raquel è stata una defezione dell'ultimo momento per lo stesso motivo.
La partenza non è stata un gran che. Io, André e Xacobe dovevamo partire alle tre di domenica. Poi, invece, si è optato per partire alle 4 tutti insieme e andare con meno macchine. Siamo stati ad aspettare Marcos e i suoi amici per tre quarti d'ora, ma, una volta chiamato ha detto che era in un altro paese ad un'altra festa e che sarebbe venuto a Compostela in 20 minuti. Visto che le ragazze lo conoscono, André ha accompagnato Berta a prendere la sua macchina e siamo partiti. Chiamato un'ora dopo, Marcos ha detto che sarebbe arrivato in un quarto d'ora...
Comunque, dopo circa 3 ore siamo arrivati a Balouta (Leon) paese limitrofo dove avremmo dormito. Marcos è arrivato dopo un'oretta e noi abbiamo cominciato ad andare a Murias prima di lui. Arrivati lì, la festa non era ancora iniziata (erano le 23:30) perché aveva piovuto nel pomeriggio. Comunque le ragazze hanno cominciato a chiacchierare con qualche vecchietto. Uno di loro ci ha presentato suo fratello che ha detto di suonare uno strumento che nessuno pensava fare parte della tradizione galega: l'armonica e ci ha portati a casa sua per farci sentire due o tre pezzi. E' stato poi lui a metterci in contatto con i ballerini del paese; tra loro suo padre che però non poteva più ballare, non tanto per l'età (93 anni!), ma perché ha l'asma.
Comunque, la festa è iniziata e in tema di feste, Galizia batte Italia 2 a 0! Sebbene ci fossero 2 orchestre una più pacchiano-squalliduccia dell'altra, la piazza era letteralmente colma di gente danzante. Gli ultimi di noi (Iria, Berta, Xacobe e io) sono andati a casa alle 4:45 e c'erano ancora una trentina di ragazzetti ballanti!!
Più volte la gente del paese ha richiesto a gran voce una muiñada (danza tradizionale) all'orchestra maggiore (“Grupo Tokio” o “Grupo Tokyo”), spesso con fare minaccioso dopo l'ennesimo rifiuto! Prima di andare a riposarsi, l'orchestra ne ha suonata una, con risultato pessimo e strumenti inadatti, e la gente (soprattutto i più anziani, e interessanti) non ha gradito troppo. Dopo un paio di canzoni della seconda orchestra, Xacobe alla gaita, Noa al tamboril (un piccolo tamburo) e Berta alla pandeireta (un tipo di tamburello) sono stati invitati a suonare e tutti si sono buttati a ballare. Io e André ci occupavamo delle riprese. Tutti gli altri imparavano i balli al momento. La recolleita non è stata molto lunga (3 o 4 canzoni) anche a causa dell'età avanzata di molti dei ballerini, ma assolutamente fruttuosa. Si è ripetuta (con altra gente e nuovi passi) il giorno dopo: dopo la messa in cui le musiche venivano suonate da un fisarmonicista e finita poco dopo le due, lo stesso fisarmonicista ha suonato molti pezzi tradizionali e si è ballato fino alle tre e mezza.
Con varie pause di esplorazione di tutta la bellezza ambientale che ci circondava, siamo poi tornati a casa, arrivando quasi alle 22:30.
Mi sento davvero onorato di aver fatto parte di questa cosa (unico straniero, ovviamente). Avevo sentito molte volte parlare di recolleitas, però, per dare un'idea, è stata la prima volta anche per Xacobe e André mentre Diego (che balla da sempre) non ha mai partecipato a una. Inoltre, vedere tutto questo mi fa pensare a come la tradizione sia dalle mie parti (e un po' in tutta Italia) assolutamente bistrattata, così come lo sono le nostre lingue. Tutto quello che viene dal passato viene dai più visto come sbagliato, vecchio, qualcosa di cui liberarsi per poter entrare al meglio in quella modernità che si sta sempre più dimostrando inaffidabile e molto meno attraente di quello che sembrava. E stiamo così perdendo la nostra cultura, la nostra ricchezza più importante. Vedere gli occhi di questi ragazzi brillare quando ascoltavano questi nonnetti raccontargli le loro storie nella loro lingua mi ha convinto ancor più dell'importanza di tutto questo.
La storia più bella, raccontataci da uno dei vecchietti è stata questa:
Quando c'era una festa, le persone prendevano un bambino (o bambina) a testa e gli insegnavano a ballare per un'ora. Poi cominciavano a ballare tra di loro!